venerdì 26 agosto 2016

In altre parole

Conosco cinque lingue.

Sette, volendo considerare il latino e il greco antico, che qui negli Stati Uniti si ritengono idiomi vivi seppur antichi.

La passione per le lingue è nata in me come desiderio comunicativo, curiosità dell'altro e dell'altrove, speranza in una diversità migliore.

Perdere la sicurezza, osare, sperimentare il rischio della libertà nel viaggio attraverso una nuova lingua sono sempre state le mie motivazioni maggiori per imparare.

E ora che mi trovo dall'altra parte della cattedra (che uso ben poco, diciamolo) ho il compito difficile e affascinante di catturare nella rete delle lingue i miei studenti e fargli anche vedere che la fatica alla fine sarà valsa la pena.

In questo percorso minato ho letto un libro che sicuramente proporrò alle mie classi quest'anno: In altre parole, di Juhmpa Lahiri.

Non presento mai opere di autori stranieri tradotte in italiano; mi sono spinta al massimo a presentare alcuni libri di racconti di immigrati che vivono in Italia e che hanno comunque scritto in italiano e presentano spesso uno sguardo interessante sul nostro paese e sulle nostre abitudini.

Questo libro però è ancora più speciale: si tratta della storia d'amore di una scrittrice statunitense di origini italiane. Non amore verso il maschio italiano di turno, ma bensì verso la lingua italiana.
Un innamoramento linguistico che l'ha portata a trasferire tutta la famiglia in Italia, dopo aver tentato di imparare la lingua passando da un insegnante  a un altro, senza successo.

Il figlio di questo amore è In altre parole: un libro in cui Jhumpa Lahiri descrive minuziosamente i tormenti, la passione, il trasporto intellettuale ed emotivo verso una lingua e una cultura che lei è poi riuscita a conquistare scrivendo interamente in italiano un libro, che  ha poi anche vinto il Premio Pulitzer.

Buona lettura!

mercoledì 24 agosto 2016

E-S-A-U-S-T-A

Oggi la giornata lavorativa doveva cominciare come sempre alle 7:30.
E finire alle 15:30.
Invece erano le 7:40... E in ogni caso non andrò via prima delle 17:00...

Mi è stato fatto notare che ero in ritardo.
Sarei dovuta essere in classe alle 7:30.

Come faceva quella canzone... "Datemi un martello..."

Il mio blues di oggi ricorda molto uno sketch di Avanzi del secolo scorso...

Insomma, lo dico.

Io oggi mi sono alzata alle sei e un quarto, ho aiutato i bambini a vestirsi, mi sono preparata, ho fatto colazione con loro, ho preparato il pranzo da portare a scuola, la merenda per il doposcuola, li ho rimproverati perché nel frattempo si erano rinchiusi in camera con l'IPad, zaini in spalla, metti le scarpe e via in macchina per arrivare presto dalla mamma di un amico dei bambini che oggi mi avrebbe aiutato ad arrivare presto a scuola...

Niente, sono arrivata in ritardo.

La campanella è suonata appena varcata la soglia della scuola.

Troppo tardi.

Allora mi si è avvicinato il capo e mi ha chiesto: "Problemi?".
Tanto io le domande retoriche le sniffo a un chilometro...

Ho provato a spiegare la storia delle sei e un quarto, dei bambini...

Poi, così, per sapere se ero nei guai, ho mandato una mail di conferma.

La risposta è stata: "Non ancora."

Ecco.

Un "Non ancora" può vanificare tutti i risultati (altissimi e inconfutabili), tutto il lavoro extra, gli scambi con l'estero a costi ridotti, i progetti, il lavoro sui social media per affascinare gli studenti e promuovere la materia, tutta la tecnologia usata e fatta usare, tutti i corsi di aggiornamento organizzati per condividere il lavoro.

Quel "Non ancora" è risuonato come un "Non ci sei ancora".

Eppure io ci sono proprio, non potrei immaginare di fare di più.

Non solo. Credo che il fatto che io mi alzi alla ora in cui mi alzo (giuro, non lo ripeto!), che abbia dei bambini, che faccia degli errori da essere umano, tutto questo penso mi renda un'insegnante migliore.
I miei studenti sanno che possono sbagliare e sanno che posso sbagliare io.
Non solo: sanno che non esistono punizioni per chi fa errori.
Certo, a seconda degli errori possono esserci delle conseguenze, ma nessuno viene punito per gli errori che commette.

Adesso le mie viscere mi dicono che è ora di riposare, che basta con tutte le attività extra, che arriverò in orario, ma in orario me ne andrò anche e che i minuti in più li conterò e li sconterò e che le mie energie verranno investite in palestra anziché a scuola e che all'ora di pranzo anziché essere a disposizione degli studenti mi barricherò in classe così non mi troverà nessuno!

La fregatura arriva quando apri una cartella sul desktop e trovi i progetti di chi è andato in Italia e ci ha lasciato il cuore, i messaggi di ringraziamento degli studenti...
Peggio ancora quando quelli che credevi dispersi tornano a studiare con te, perché le tue lezioni gli mancavano...

Insomma, ancora una volta il magone cede il posto alla rivoluzione.

Domani si ricomincia, alle 7:30.