giovedì 24 marzo 2016

Siamo qui per essere felici

Ho avuto una settimana pesante.
Il furto della mia borsa, con conseguente perdita dei documenti e delle carte di credito mi ha notevolmente stressato.
Per giunta questa settimana i miei studenti dovevano sostenere degli esami, per la prima volta online, e siccome io motivo tutti a partecipare e impegnarsi, ne dovevo gestire, da sola, ben 100 in due giorni.
Una settimana pesante.

Dover domare poi gli studenti dell'ultimo anno, chiedendo un po' di silenzio per poter organizzare l'esame nel modo più sereno, e vederli invece che facevano un po' quello che volevano proprio quando era necessario dare le istruzioni, non ha aiutato.

Oggi però gli studenti del livello 3 sono arrivati, silenziosissimi si sono seduti, hanno aspettato le istruzioni, le hanno seguite, i problemi tecnici che abbiamo incontrato sono stati risolti immediatamente e senza problemi.

E allora mi sono chiesta il perché.

Quando questi ragazzi erano al livello 2, c'erano stati alcuni problemi nella divisione delle classi.
Insomma, per farla breve, avevo una classe di livello 2 avanzato con 44 alunni.

44.
44.
44.

Da preparare per sostenere l'AP di italiano.
A cui far raggiungere livelli avanzati di contenuti e competenze.

Lì mi sono chiesta come fare.

Potevo scegliere il metodo frustali tutti i giorni come i leoni al circo, potevo scappare.

Invece sono entrata in classe e gli ho detto chiaramente che insegnare a un gruppo di 44 ragazzi l'italiano, far praticare loro l'orale e lo scritto tutti i giorni, dare a ciascuno un piccolo spazio a cui avrebbero avuto diritto, era impossibile.

A meno che...

A meno che non lavorassimo insieme tutti quanti, non ci responsabilizzassimo tutti a rispettare i momenti di ascolto e di produzione, non collaborassimo a rendere quell'aula sovraffollata un luogo di rispetto e di armonia.

Ho anche spiegato che il mio obiettivo era lo stesso obiettivo loro: che imparassero l'italiano. E che se questo non fosse stato possibile, le conseguenze sarebbero state catastrofiche per tutti noi, visti i numeri.

Ho raccontato loro di un video che avevo visto su un insegnante giapponese che insegnava ai suoi alunni che a scuola bisognava andarci per essere felici, e che anche io credevo che la scuola dovesse portare felicità, crescita e progresso.

Intimiditi quanto basta dal numero di coetanei che circondava ognuno di loro e dal numero di banchi che impediva qualsiasi movimento, hanno accettato.

Per tutto l'anno ognuno di loro ha avuto 30 secondi al giorno per parlare, cinque minuti per scrivere e il resto della lezione, per fortuna gestita in maniera collaborativa, almeno quella non misurata in termini di tempo...

Ogni volta che succedeva qualcosa per cui l'ordine creato rischiava di crollare, quando arrivavano le lacrime, quando tutto diventava difficile, ci fermavamo e ci ricordavamo che eravamo lì per essere felici, che non avremmo permesso allo stress di entrare nella nostra classe.

Avevamo anche un momento tutto nostro.
Una canzone.

Quando finivamo il lavoro che ci eravamo ripromessi di fare, cantavamo la nostra canzone, a squarciagola.

Ha funzionato.
E si va avanti un altro giorno.


martedì 22 marzo 2016

Grazie!

Quest'anno ho dimenticato di insegnare qualcosa di fondamentale.
L'ho dato per scontato.
Mi sono ritrovata degli studenti simpatici, in gran parte motivati, e così ho dimenticato una parte molto importante del mio insegnamento.

Ma cominciamo dall'inizio.

Un paio di anni fa, una collega con molti anni di esperienza che le erano valsi la fama di strega-regina, maga dalla bacchetta incantata che trasformava gli studenti in perfetti francesi una volta che varcavano la soglia della sua aula, questa collega dicevo, era furibonda.
''Gli studenti,'' diceva,''sono degli irriconoscenti.''
Lei passava le giornate, le serate, a volta fino a molto tardi, a lavorare per loro. Si caricava di lavoro e si assumeva responsabilità di ogni tipo per dare loro delle opportunità.
Senza mai un ringraziamento, un gesto qualsiasi di riconoscimento di quello che faceva per loro.

Ora, prima o poi durante l'anno scolastico mi sa che tutti ci sentiamo così.
Chi lavora bene, di solito lavora troppo.
Un collega italiano mi diceva sempre: "Se hai un lavoro da affidare a qualcuno, affidalo a chi è già impegnatissimo, probabilmente lo farà bene."

Un po' non sappiamo dire di no, un po' non vogliamo che gli studenti perdano delle opportunità.

Ma perché degli studenti, che daltronde facevano tutto quello che veniva loro chiesto, arrivavano a non mostrare alcuna gratitudine verso una persona che dava loro tanto?

Perché nella maggior parte dei casi, non glielo insegna nessuno.

Nella società in cui viviamo, anche nella società americana, tanto incline all'acquisto dei bigliettini di ringraziamento per qualsiasi occasione, che festeggia la settimana dell'infermiere, dell'insegnante, del capo e così via, per invitare tutti a ringraziare chi col suo lavoro migliora la società, anche qui, sembra che ai ragazzi bisogna rendere tutto semplice, divertente, e sembra che questo inzuccheramento della pillola-apprendimento sia loro dovuto. Così come in famiglia tutti i sacrifici dei genitori siano ugualmente dovuti.
Non su loro richiesta però, quanto per mancanza da parte nostra di un insegnamento fondamentale: la pronuncia sincera e ben assimilata della parola GRAZIE.

Insomma ai bambini e ai ragazzi a dire grazie non lo insegna nessuno. Non è che loro non nutrano sentimenti di riconoscimento nascosti in fondo al cuore, è  che non non gli chiediamo di esternarlo.

Così, qualche anno fa mi ero messa d'impegno a sottolineare ai miei studenti ogni sforzo che facevo che andasse anche solo vagamente oltre il minimo richiesto per non perdere il lavoro.

Semplicemente, in classe, ogni volta che un quiz andava bene, che qualcuno si rendeva conto di essere migliorato, che dicevo loro cosa avevo organizzato per la settimana dopo, chiedevo alla classe: "E cosa si dice alla Prof?"
La risposta corale era: "Grazie, Prof.!"
Si faceva un po' per ridere, un po' per fare cionfra, come si dice dalle mie parti,
Ma il messaggio passava.

Avevo spiegato loro la mia teoria sul fatto che loro non sapessero esprimere la gratitudine, pur provandola, e loro avevano convenuto con me che in effetti non gli veniva mai chiesto di esprimere questo sentimento.

Quest'anno, accidenti, ho dato per scontato che lo sapessero fare.
Le lezioni di gratitudine non sono cominciate e siamo già a marzo...

Mi tocca fare un corso accelerato e rischio la rivoluzione...

Rivoluzione sia!

Da domani si comincia.

Non è mai tardi per cominciare a dire grazie, daltronde.

Prego!

domenica 20 marzo 2016

Gli esami non finiscono mai

Gli Stati Uniti sono una macchina da valutazione.
Il feedback viene chiesto per tutto.
Anche per il lavoro svolto da un commesso al negozio di scarpe.
Feedback = valutazione.

L'idea è che se il lavoro, una prestazione, una competenza, vengono valutati, il servizio migliora perché dagli errori evidenziati o anche dai complimenti ricevuti, si può trarre una lezione che ci consente di apportare le necessarie modifiche.
E se tutto va bene, se il feedback è positivo, anche in quel caso possono esserci delle modifiche: magari si diventa più creativi!

In Italia, già dai tempi in cui tentava Berlinguer di introdurre una qualche proposta di valutazione della professione insegnante, si gridava allo scandalo.

Certo, anche perché la professione insegnante (che applicava alla valutazione degli studenti la regola:
10 lo prende Dio, 9 lo prendo io, tu al massimo prendi 8) era alquanto terrorizzata all'idea che la stessa regola venisse applicata anche a lei.
Ma anche perché in Italia, anche oggi, si vive la valutazione basata sul binomio promosso o bocciato, una valutazione decisamente punitiva, che , ho scoperto con terrore recentemente, porta i genitori a commettere delle incredibili violenze, anche fisiche sugli insegnanti, sfortunatamente spesso senza reali conseguenze che li tutelino.

Qui la valutazione è continua (ci si aspetta un minimo di due voti settimanali per alunno e che questi voti corrispondano alle stesse prove di valutazione sostenute da tutti gli alunni) ma decisamente costruttiva.
Se i miei studenti non vanno "bene" in un quiz, in un test, hanno una settimana di tempo per sostenere nuovamente la stessa prova, o una equivalente (più o meno a seconda di cosa io ritengo più valido e/o opportuno). Prima di risostenere la prova hanno quindi la possibilità di venire ai tutorial, cioé di presentarsi all'ora di pranzo nella mia aula per chiedere e ricevere spiegazioni su un argomento non ben compreso. Quando devo essere disponibile io? Due volte la settimana, secondo quanto richiesto dalla scuola. In realtà sono pochi quelli di noi che non offrono il loro aiuto praticamente ogni giorno, anche dopo l'orario scolastico.
Sì, si valuta molto, ma si valuta a brevi intervalli, su brevi parti del programma e quindi guidando gli studenti verso il reale apprendimento. Nessuno dovrebbe arrivare al test senza averne appreso tutte le 
singole parti.

Passano tutti? Certo che no! Il materiale umano, che parli inglese, francese, russo, spagnolo o italiano, è sempre lo stesso: adolescenti. Esseri umani ancora non completamente completi che ci metteranno ancora almeno un cinque, sei anni se tutto va bene a capire che i prof scocciano tanto per motivi validi...
Ma per l'adolescenza ancora non è stato trovato un rimedio, quindi si va avanti!

I vantaggi della valutazione a go-go sono tanti negli USA.

Per esempio, se l'Esame di Stato in Italia può eventualmente servire a precedere qualcuno in una graduatoria, o magari a venir considerati semplicemente "tanto bravi", qui gli esami AP (Advanced Placement), equivalenti a degli esami nazionali, servono per accumulare crediti da utilizzare sia per venir scelti dalle migliori università, sia per un percorso universitario più breve (quindi anche meno caro, visti i costi degli studi negli USA), che per l'accesso ai livelli più avanzati delle varie materie.

Nella mia scuola in particolare si offre anche il Baccelleriato Internazionale, che diventa un po' un diploma nel diploma (europeo tra l'altro, nato in Svizzera) e realmente serve a formare studenti capaci di operare in vari ambienti mostrando competenze ma soprattutto la capacità di acquisirne sempre di nuove con grande facilità.

Esamifici? Sì, ma utili, formativi e atti a verificare in corso d'opera (non alla fine di un quadrimestre, di un anno scolastico o di tutto un liceo) se sono necessari interventi da parte di insegnanti e studenti.

Chiaramente la valutazione esiste anche per noi prof.
Questa valutazione, per la quale veniamo preparati accuratamente, si basa sul lavoro in classe, sui rapporti con i colleghi e con i genitori, sui risultati degli studenti, sulla collaborazione collegiale e sulla professionalità in generale. È una valutazione olistica, ma basata su prove concrete (record di contatti con i genitori, programmazione disponibile e pubblica, ecc) e varie visite in classe del valutatore, che dopo aver osservato il lavoro svolto, ne valuta in maniera costruttiva ogni singolo aspetto secondo delle rubriche dettagliate.
Sempre tutto rose e fiori?
Sfortunatamente no.
Può sempre capitare di incappare nel precisino di turno che ama mettere in rilievo le pecche di ognuno di noi, che sicuramente, se davvero lavoriamo tanto, le pecche le accumuliamo, anche quando cerchiamo di essere perfetti...
Io però, devo ammettere che finora mi è andata bene e a parità di impegno rispetto a quando lavoravo in Italia, qui ho visto molti miei sforzi più riconosciuti.

Ecco alcuni link per chi volesse saperne di più:
AP Italian
Baccelleriato (o Baccalaureato) Internazionale