martedì 22 marzo 2016

Grazie!

Quest'anno ho dimenticato di insegnare qualcosa di fondamentale.
L'ho dato per scontato.
Mi sono ritrovata degli studenti simpatici, in gran parte motivati, e così ho dimenticato una parte molto importante del mio insegnamento.

Ma cominciamo dall'inizio.

Un paio di anni fa, una collega con molti anni di esperienza che le erano valsi la fama di strega-regina, maga dalla bacchetta incantata che trasformava gli studenti in perfetti francesi una volta che varcavano la soglia della sua aula, questa collega dicevo, era furibonda.
''Gli studenti,'' diceva,''sono degli irriconoscenti.''
Lei passava le giornate, le serate, a volta fino a molto tardi, a lavorare per loro. Si caricava di lavoro e si assumeva responsabilità di ogni tipo per dare loro delle opportunità.
Senza mai un ringraziamento, un gesto qualsiasi di riconoscimento di quello che faceva per loro.

Ora, prima o poi durante l'anno scolastico mi sa che tutti ci sentiamo così.
Chi lavora bene, di solito lavora troppo.
Un collega italiano mi diceva sempre: "Se hai un lavoro da affidare a qualcuno, affidalo a chi è già impegnatissimo, probabilmente lo farà bene."

Un po' non sappiamo dire di no, un po' non vogliamo che gli studenti perdano delle opportunità.

Ma perché degli studenti, che daltronde facevano tutto quello che veniva loro chiesto, arrivavano a non mostrare alcuna gratitudine verso una persona che dava loro tanto?

Perché nella maggior parte dei casi, non glielo insegna nessuno.

Nella società in cui viviamo, anche nella società americana, tanto incline all'acquisto dei bigliettini di ringraziamento per qualsiasi occasione, che festeggia la settimana dell'infermiere, dell'insegnante, del capo e così via, per invitare tutti a ringraziare chi col suo lavoro migliora la società, anche qui, sembra che ai ragazzi bisogna rendere tutto semplice, divertente, e sembra che questo inzuccheramento della pillola-apprendimento sia loro dovuto. Così come in famiglia tutti i sacrifici dei genitori siano ugualmente dovuti.
Non su loro richiesta però, quanto per mancanza da parte nostra di un insegnamento fondamentale: la pronuncia sincera e ben assimilata della parola GRAZIE.

Insomma ai bambini e ai ragazzi a dire grazie non lo insegna nessuno. Non è che loro non nutrano sentimenti di riconoscimento nascosti in fondo al cuore, è  che non non gli chiediamo di esternarlo.

Così, qualche anno fa mi ero messa d'impegno a sottolineare ai miei studenti ogni sforzo che facevo che andasse anche solo vagamente oltre il minimo richiesto per non perdere il lavoro.

Semplicemente, in classe, ogni volta che un quiz andava bene, che qualcuno si rendeva conto di essere migliorato, che dicevo loro cosa avevo organizzato per la settimana dopo, chiedevo alla classe: "E cosa si dice alla Prof?"
La risposta corale era: "Grazie, Prof.!"
Si faceva un po' per ridere, un po' per fare cionfra, come si dice dalle mie parti,
Ma il messaggio passava.

Avevo spiegato loro la mia teoria sul fatto che loro non sapessero esprimere la gratitudine, pur provandola, e loro avevano convenuto con me che in effetti non gli veniva mai chiesto di esprimere questo sentimento.

Quest'anno, accidenti, ho dato per scontato che lo sapessero fare.
Le lezioni di gratitudine non sono cominciate e siamo già a marzo...

Mi tocca fare un corso accelerato e rischio la rivoluzione...

Rivoluzione sia!

Da domani si comincia.

Non è mai tardi per cominciare a dire grazie, daltronde.

Prego!

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