Il furto della mia borsa, con conseguente perdita dei documenti e delle carte di credito mi ha notevolmente stressato.
Per giunta questa settimana i miei studenti dovevano sostenere degli esami, per la prima volta online, e siccome io motivo tutti a partecipare e impegnarsi, ne dovevo gestire, da sola, ben 100 in due giorni.
Una settimana pesante.
Dover domare poi gli studenti dell'ultimo anno, chiedendo un po' di silenzio per poter organizzare l'esame nel modo più sereno, e vederli invece che facevano un po' quello che volevano proprio quando era necessario dare le istruzioni, non ha aiutato.
Oggi però gli studenti del livello 3 sono arrivati, silenziosissimi si sono seduti, hanno aspettato le istruzioni, le hanno seguite, i problemi tecnici che abbiamo incontrato sono stati risolti immediatamente e senza problemi.
E allora mi sono chiesta il perché.
Quando questi ragazzi erano al livello 2, c'erano stati alcuni problemi nella divisione delle classi.
Insomma, per farla breve, avevo una classe di livello 2 avanzato con 44 alunni.
44.
44.
44.
Da preparare per sostenere l'AP di italiano.
A cui far raggiungere livelli avanzati di contenuti e competenze.
Lì mi sono chiesta come fare.
Potevo scegliere il metodo frustali tutti i giorni come i leoni al circo, potevo scappare.
Invece sono entrata in classe e gli ho detto chiaramente che insegnare a un gruppo di 44 ragazzi l'italiano, far praticare loro l'orale e lo scritto tutti i giorni, dare a ciascuno un piccolo spazio a cui avrebbero avuto diritto, era impossibile.
A meno che...
A meno che non lavorassimo insieme tutti quanti, non ci responsabilizzassimo tutti a rispettare i momenti di ascolto e di produzione, non collaborassimo a rendere quell'aula sovraffollata un luogo di rispetto e di armonia.
Ho anche spiegato che il mio obiettivo era lo stesso obiettivo loro: che imparassero l'italiano. E che se questo non fosse stato possibile, le conseguenze sarebbero state catastrofiche per tutti noi, visti i numeri.
Ho raccontato loro di un video che avevo visto su un insegnante giapponese che insegnava ai suoi alunni che a scuola bisognava andarci per essere felici, e che anche io credevo che la scuola dovesse portare felicità, crescita e progresso.
Intimiditi quanto basta dal numero di coetanei che circondava ognuno di loro e dal numero di banchi che impediva qualsiasi movimento, hanno accettato.
Per tutto l'anno ognuno di loro ha avuto 30 secondi al giorno per parlare, cinque minuti per scrivere e il resto della lezione, per fortuna gestita in maniera collaborativa, almeno quella non misurata in termini di tempo...
Ogni volta che succedeva qualcosa per cui l'ordine creato rischiava di crollare, quando arrivavano le lacrime, quando tutto diventava difficile, ci fermavamo e ci ricordavamo che eravamo lì per essere felici, che non avremmo permesso allo stress di entrare nella nostra classe.
Avevamo anche un momento tutto nostro.
Una canzone.
Quando finivamo il lavoro che ci eravamo ripromessi di fare, cantavamo la nostra canzone, a squarciagola.
Ha funzionato.
E si va avanti un altro giorno.
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